Il Maiale
A partire dal mese di dicembre, le grida del maiale risuonavano distintamente per le vie del paese, ciò significava che per quel povero animale, amorevolmente cresciuto e rimpinzato fino ad allora, era giunto il momento per il quale era nato. L’uccisione del maiale era un appuntamento fisso e atteso, al quale partecipava l’intero parentato e vicinato. Ancora oggi, quando viene ucciso il maiale, per prima cosa si tagliano dal filetto “i parti” da sistemare in un piatto con un pezzo di fegato avvolto nel “picchio”, da regalare ad amici e parenti.
L’intero animale veniva sapientemente tagliato, ciò consentiva di sfruttarne al meglio ogni minima parte. Con il sangue si preparava “u sancelu”; con la testa, i piedi, e la coda, “u suzu”; la parte del collo veniva tagliata in modo da ottenere il capicollo e “i vijulari” ; una parte dei prosciutti veniva usata per le salsicce e le soppressate, mentre un’altra, lasciata integra, si salava per ottenere il prosciutto; il lardo veniva tagliato a pezzi, una parte veniva impastato con le salsicce e le soppressate, un’altra parte veniva bollito insieme alle ossa e alle cotiche, ottenendo “i frittule e i risimugghi” e il grasso, che fungeva sia da condimento, che da conservante per le salsicce e le soppressate indurite.
Per poter realizzare tutto questo, si impiegavano parecchi giorni, alla fine con il poco che era rimasto, cioè le ossa più piccole e la carne più sanguinosa, si preparava “la frissurata” cui erano invitati i parenti e tutti coloro che avevano aiutato a “cunzari u purceddru”.